Gli uomini non piangono, per questo muoiono prima!
I maschi non piangono perché sono il sesso forte, devono dimostrare virilità e questo è il loro ruolo.
Purtroppo stereotipi del genere esistono ancora oggi, credendo che il pianto sia per lo più un’esclusiva delle donne.
Gli uomini devono avere la situazione sotto controllo. Piuttosto diventano rabbiosi o spaccano qualcosa in casa anziché scoppiare in lacrime.
Tra i mille tabù che sopravvivono in una società ancora per molti versi sessista, uno dei più duri a morire è quello che gli uomini non debbano piangere, altrimenti verrebbe interpretato come un simbolo di umiliazione e debolezza, anche se non lo è affatto.
Da qualche tempo abbiamo iniziato a vedere un’inversione di tendenza, persino l’attore “The Rock” Dwayne Johnson, che ha quasi sempre interpretato sullo schermo il ruolo del duro eroe d’azione, ha confessato le sue continue crisi di pianto dopo aver assistito al tentativo di suicidio della madre. E nel farlo stava dimostrando coraggio, non certo debolezza.
Eppure non è stato sempre così: la nostra cultura è piena di uomini che piangono senza che questo intacchi la loro dignità, anzi.
Esempi nella storia
La prima volta che Ulisse appare nell’Odissea sta piangendo, e non si tratta di un caso isolato nella letteratura classica: nell’Iliade, Achille e Priamo si abbracciano e piangono insieme pur essendo nemici.
È impossibile però individuare il momento esatto nella storia in cui il pianto maschile ha iniziato a essere stigmatizzato: si è trattato di una svolta graduale che si è trascinata per un paio di secoli. Ancora nel Settecento, si pensava che la capacità di un uomo di piangere fosse un indice di onestà e integrità morale.
Statisticamente le donne piangono più degli uomini, ma non c’è alcuna ragione biologica che giustifichi questo: si tratta piuttosto del risultato di un’imposizione sociale che ha portato i maschi a inibirsi.
Quando predomina il senso di impotenza per non riuscire ad esprimere la rabbia, quando predomina la rinuncia a opporre resistenza e a contrattaccare, ovvero quando la rabbia viene trattenuta e non espressa, ecco che esplode il pianto, cosa che accade anche nei maschi.
Lo dimostra uno studio pubblicato nel 2002 sul British Journal of Developmental Psychology.
La ricerca condotta da Miranda Van Tilburg, Marielle Unterberg e Ad Vingerhoets ha stabilito che i maschi e le femmine piangono allo stesso modo fino al raggiungimento della pubertà , poi tutto cambia. Convivere con tabù del genere può avere conseguenze anche molto gravi.
Gli uomini che non piangono…
L’abitudine a inibirsi nascondendo i propri sentimenti, porta gli uomini ad avere molte meno probabilità di ottenere aiuto quando soffrono di depressione.
È questa una delle ragioni per cui gli uomini che presentano patologie depressive cercano più spesso rifugio nell’alcol o nelle droghe, e si suicidano il doppio delle donne.
Spesso dietro all’apparenza si nasconde una forte vulnerabilità data dal timore di non sentirsi virili come il mondo fuori obbliga a essere.
Paure del genere portano alla creazione di luoghi comuni che a volte possono farci sorridere, ma che in realtà rivelano un disagio più profondo.
Quando predomina il senso di impotenza per non riuscire ad esprimere la rabbia, quando predomina la rinuncia a opporre resistenza e a contrattaccare, ovvero quando la rabbia viene trattenuta e non espressa, ecco che esplode il pianto, cosa che accade anche nei maschi, ma questi tendono a vergognarsene.
Nella cultura occidentale (ma non solo), chi piange tende ad essere visto come un perdente, perciò si insegna ai bambini maschi a trattenere o rimandare le lacrime riservandole a occasioni intime e private.
Piangere in pubblico farebbe apparire l’adulto maschio un essere impotente e indifeso come un bambino o una donna, ma nel pianto di rabbia ad esempio, la sofferenza esprime non la rabbia in sé bensì quella del senso di impotenza al bisogno di manifestare la rabbia stessa.
La speranza di vita degli uomini è inferiore a quella delle donne in (quasi) tutti i Paesi del mondo: 68 anni e 6 mesi per i maschi, 73 anni e 6 mesi per le femmine, nell’ultima rilevazione planetaria del CIA World Factbook del 2014 è anche notevole la variabilità tra nazioni.
I nemici maggiori?
Incidenti e stili di vita.
Sul fronte degli incidenti, sia con mezzi di trasporto, sia da rissa, i maschi sono più vulnerabili.
Innanzitutto per ragioni biologiche, perché i maggiori tassi di testosterone (10 volte più alti negli uomini rispetto alle donne) aumentano molto l’impulsività dei comportamenti.
I maschi hanno più incidenti fatali alla guida di qualsiasi mezzo: anche se le donne, nell’ultima rilevazione 2017, fanno più incidenti degli uomini, i maschi hanno un tasso di incidenti mortali da otto a dieci volte superiore alle donne, a seconda degli studi.
I maschi sono più vulnerabili all’abuso di sostanze psicoattive (alcol e droghe), con una differenza intorno al 20% tra maschi e femmine. Resta massima la vulnerabilità dei maschi ai comportamenti antisociali, con risse e lesioni da arma da fuoco e da taglio e anche nei comportamenti autolesivi: i tentativi di suicidio sono maggiori nelle donne, ma i suicidi con morte sono molti più tra i maschi (ben 8 su 10. fonte: ISTAT 2014).
Inibire le emozioni per non farsi ridicolizzare o scoprire come “deboli”, inibire il pianto come valvola di sfogo, fa soffrire l’uomo (come anche riportato in molte ricerche) e lo espone tra le altre cose, ad una morte prematura rispetto le donne.
Se vuoi approfondire l’argomento, ti aspetto al mio prossimo corso sul linguaggio del corpo che periodicamente sviluppo attraverso la mia azienda FormaeMentis.
Chiama gratis il numero verde 800 032 882 oppure scrivi a info@formaementis.net
Avrò il piacere di seguirti di persona durante tutto il percorso della durata di 2 giorni (full immersion), per questo ho scelto il numero chiuso, massimo 10 persone.
La Ri-frequenza è sempre gratuita.
===> Clicca qui per saperne di più <===
———————————————————-
Continua a seguirci sui social
Facebook – Gruppo Linguaggio del corpo –
Telegram http://telegram.me/formaementis
———————————————————-
Per approfondimenti consiglio il libro
Comunicare bene
La comunicazione come forma mentis
– SU AMAZON –
Questo libro tratta la comunicazione verbale e non verbale, il linguaggio del corpo e l’ascolto empatico all’interno di una corretta comunicazione. Partendo dall’approccio iniziale, seguendo passo per passo le dinamiche di un rapporto di comunicazione – che si tratti di rapporti di lavoro o di relazioni informali – vengono presentate le principali strategie (proprie della PNL, della Gestalt e dell’Analisi Transazionale) per comunicare nel modo più efficace ed evitare gli errori più comuni che spesso rendono difficile entrare in contatto con i nostri interlocutori. Il volume ha l’ambizione di “insegnare” a comunicare, oltre che con le parole, anche e soprattutto con la voce, i gesti ed il corpo. Imparare ad usare ognuno di questi “linguaggi” nella maniera migliore risulta quindi fondamentale per poter sfruttare al meglio i meccanismi comunicativi. “Non si può non comunicare” nel gioco della vita ed apprendere le tecniche di comunicazione è possibile, al pari di ogni altra capacità, ma per farlo è necessario sviluppare uno specifico atteggiamento mentale. E’ proprio questo approccio che differenzia questo libro dai tanti altri sul tema della comunicazione.